FASE 2: STESSA LOGICA CRIMINALE

Di FB e NI

Dal 4 Maggio è cominciata la cosiddetta “fase 2”, che ha visto il ritorno al lavoro di oltre 4 milioni di lavoratori, mentre si stima che ancora 2.7 milioni circa continueranno a lavorare in modalità smart working.

La nuova fase interesserà principalmente i lavoratori dell’industria che vedrà riaprire il 100% del settore. Quella stessa industria che non si è mai fermata veramente e che attraverso le falle contenute nei vari decreti ha continuato a tenere attivo più del 50% della produzione, anche quando non necessaria, e ha contribuito ad accrescere il numero di vittime nelle regioni del nord, dove il tasso di mortalità è mediamente raddoppiato. Gli incrementi hanno raggiunto picchi estremi in particolare a Bergamo (568%), Cremona (391%), Lodi (371%), Brescia (291%), Piacenza (264%), Parma (208%), Lecco (174%), Pavia (133%), Mantova (122%).

Il paese è quindi ripartito, seppur non a pieno ritmo, in un momento in cui il numero dei nuovi contagiati si è assestato solo nell’ultima settimana sotto le 2.000 unità al giorno. Per fare un paragone, l’Italia aveva chiuso quando il numero dei nuovi contagi era di circa 1.700 nuovi casi ogni giorno.

In questa nuova fase di gestione della pandemia, la ripartenza ha interessato soprattutto le zone risultate più colpite. Infatti, l’80% dei lavoratori, che dal 4 maggio è tornato nelle fabbriche, risiede proprio nelle zone più colpite: in particolare Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna. Regioni nelle quali ancora ad oggi, anche se in lieve calo, il numero dei nuovi contagi, come d’altra parte quello dei decessi, resta significativamente alto.

Quando il 27 Aprile a Bergamo la giornalista Francesca Navas ha incalzato il presidente Conte durante una conferenza, facendo notare la contraddizione paradossale di come un lavoratore del bergamasco avesse potuto continuare a recarsi in fabbrica durante la fase 1, ma negli stessi giorni gli era proibito portare i bambini al parco, asserito che la quasi totalità dei contagi è avvenuta in posti al chiuso, Conte ha risposto che la risoluzione del paradosso era nella sicurezza sul lavoro che sarebbe stata garantita dai protocolli firmati con i sindacati a Marzo e riaggiornati qualche giorno prima.

La realtà però è diversa. Infatti, i protocolli di sicurezza non risultano efficienti neanche nelle situazioni di normalità, figuriamoci in una pandemia. La media italiana è stata di 3 morti quotidiane sul lavoro negli ultimi anni e già in questi primi giorni di riapertura la strage sembra essere ripresa a pieno ritmo, come testimoniano le tragedie vissute a Milano di un operaio caduto nel vuoto da 10 metri di altezza, che risulta essere in condizioni gravi, e nella fabbrica Adler Plastic di Ottaviano, nel Napoletano, dove un altro ha perso la vita in seguito a un’esplosione.

Inoltre, se l’applicazione delle norme di sicurezza per la gestione Covid-19 dovesse essere controllata dalle rappresentanze sindacali interne, dobbiamo fare il conto con la buona parte delle imprese che non sono sindacalizzate. Chi dovrebbe controllare il funzionamento del protocollo in quel caso? Tra l’altro, quando in questo periodo sono state denunciate la scarsità delle misure di sicurezza direttamente dai lavoratori, questi sono stati licenziati, come nel caso di un operaio dell’Ilva di Taranto che aveva denunciato su Facebook la carenza dei dispositivi di protezione individuali necessari per contrastare l’emergenza Covid. Alla faccia del blocco dei licenziamenti!

Quindi a peggiorare una situazione già drammatica saranno le difficoltà che s’incontreranno nelle fabbriche per garantire il rispetto delle misure di sicurezza previste.

A tal proposito Massimo Balzarini, segretario della CGIL Lombardia ha dichiarato che non si ha una visione chiara su quanto siano rispettate le misure di sicurezza nelle aziende della regione, dal momento che ad un questionario di ATS Milano (Agenzia Tutela della Saluta) relativo alle misure di sicurezza solo il 10-15% è stata in grado di fornire una risposta.

Alle parole per niente rassicuranti di Balzarini, si sono contrapposte quelle del segretario generale della CGIL Landini, il quale si è dichiarato pienamente soddisfatto dell’intesa raggiunta sul protocollo di sicurezza, ponendosi in piena continuità con il ruolo ambiguo e pacificatore assunto dai confederali, anche durante questa emergenza.

Nonostante in quel protocollo venisse accennata timidamente una misura di controllo con il tampone ai lavoratori attivi delle zone più contagiate, l’unica misura che garantirebbe più sicurezza in questa fase, non si hanno notizie di alcun movimento in questa direzione. Anzi se la statistica può darci un dato, negli ultimi giorni a ridosso dell’apertura sono stati effettuati meno tamponi rispetto alle ultime settimane. D’altronde Conte l’aveva già chiarito in quella stessa conferenza a Bergamo: “Se in questo paese dovessimo mappare tutti i lavoratori, chiuderemo per qualche anno”.

In un’intervista riportata il 28 Aprile sull’Huffington Post, il virologo dell’Università di Padova Andrea Crisanti commentando la fase 2 ha dichiarato “Non ci resta che sperare che il caldo uccida il virus” ed ha accusato il governo di agire “senza criterio scientifico” e in maniera irrazionale. “La pandemia segue le sue dinamiche, ha una sua logica e noi invece mi sembrerebbe di no. Ci si è mossi senza considerare le differenze regionali, senza valutazioni del rischio. È chiaro che il rischio è diverso tra regione e regione e non è uno dei fattori che viene valutato. In conclusione, nell’equazione che si sta utilizzando non entra la valutazione del rischio”.

I dubbi di Crisanti sono più che leciti, ma quello che ci preme di far capire è che in realtà il governo sta seguendo una sua logica e una sua razionalità, quella di mediare tra due esigenze incompatibili in un quadro simile: la salute della popolazione e la necessità di Confindustria e della borghesia di mantenere attiva la produzione. Tutto questo anche a costo di aumentare la conta dei morti di qualche decina di migliaia in più. Nella fase 2, è la stessa logica criminale a guidare le scelte. In quest’ottica è da contestualizzare anche la scelta di apertura alle visite familiari, che consentirà ai genitori lavoratori di affidare, quando possibile, i figli ai nonni in mancanza del servizio scolastico, mettendo a rischio la salute dei più anziani, in particolar modo nelle regioni più infettate.

Ancora una volta dobbiamo costatare una gestione a dir poco scellerata, della pandemia. È infatti facile notare le incongruenze, le assurdità, nella scelta di far ripartire tutto il comporto industriale in un momento in cui i contagi stentano a scendere in maniera significativa.

Pertanto, alla luce della difficile situazione che ancora stiamo vivendo, e per tutelare la salute di tutti i lavoratori, e non solo, RIVENDICHIAMO LA CHIUSURA DI TUTTE LE FABBRICHE NON ESSENZIALI ALLA GESTIONE DELL’EMERGENZA FINO A CONTAGI ZERO E REDDITO DI QUARANTENA PER TUTTI I LAVORATORI.

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