Le rivolte di massa colpiscono il cuore dell’imperialismo

di IN

Se c’è ancora qualcuno che crede che la discriminazione nei confronti dei neri negli Stati Uniti d’America sia un fenomeno lontano nel tempo si sbaglia di grosso. Se la segregazione razziale legale è stata superata negli anni, la discriminazione informale serpeggia tutt’ora nella “patria della democrazia” e continua a mietere vittime. La più recente si chiamava George Floyd e il video dei suoi ultimi 10 minuti di vita sono ormai tristemente noti in tutto il mondo. George Floyd era un uomo di Minneapolis (Minnesota) che il 25 Maggio è stato ucciso da un agente di polizia: quest’ultimo ha immobilizzato Floyd sull’asfalto e gli ha bloccato il respiro premendo con forza il suo ginocchio sul collo dell’uomo. L’assassino e gli altri 3 suoi colleghi complici sono stati licenziati solamente come conseguenza delle rivolte avvenute in questi giorni: moltissime persone si sono riversate nelle strade di Minneapolis per protestare contro questa ennesima ingiustizia. Sono avvenuti scontri tra i civili e le forze di polizia: i manifestanti hanno occupato e incendiato la centrale di polizia in cui lavoravano i 4 poliziotti e la polizia ha risposto con gas lacrimogeni, granate e arresti. Le proteste si sono allargate in altre città americane, tra le quali Denver, Los Angeles e New York e la Guardia Nazionale del Minnesota ha già annunciato la volontà di inviare circa 500 soldati a Minneapolis e Saint Paul.

George Floyd è diventato, suo malgrado, il simbolo di un problema che era già sotto gli occhi di tutti: la discriminazione negli USA esiste ancora. George Floyd è solo il più celebre di tantissime altre vite distrutte e martoriate dalla logica (illogica) del sovranismo che si crogiola in motti come “America first” o “Make America great again”. L’America che va difesa e osannata è quella fetta di America che produce, si arricchisce e fa arricchire e che, possibilmente, ha la pelle bianca. L’altra parte dell’America è soltanto fatta di menti e braccia da sfruttare sulle quali basare un’intera campagna elettorale per canalizzare l’odio della vera “America First”.

George Floyd e tutti gli altri e le altre sono stati uccisi dal braccio violento di una classe politica che nasconde il problema come si fa con la polvere sotto i tappeti: i casi di omicidio da parte della polizia nei confronti dei neri e ispanici, in America, sono molteplici e i colpevoli sono rimasti impuniti. La violenza e  l’abuso di potere sono protetti, se non fomentati da quel sistema che chiede, impone “sicurezza” a tutti i costi: Trump non ha perso l’occasione per cavalcare l’onda dei disordini, twittando: “Questi teppisti stanno disonorando il ricordo di George Floyd, e io non permetterò che accada. Ho appena parlato con il governatore Tim Walz e gli ho detto che le forze armate sono totalmente con lui. Se ci sono difficoltà, assumeremo il controllo, ma quando parte il saccheggio, si inizia a sparare. Grazie!” e ancora, “Non posso star qui a guardare quel che succede in una grande città americana, Minneapolis. Una totale mancanza di leadership. O il debolissimo sindaco di estrema sinistra Jacob Frey si dà una mossa, o manderò la Guardia nazionale per fare il lavoro che serve”.

Allora è necessario ribadire apertamente che gli slogan tanto cari agli yankees sottendono dei significati che potrebbero essere così sintetizzati: “Make America White and Rich again”.

Le rivolte e manifestazioni di questi giorni non vanno né trascurate né sottovalutate: le proteste si stanno propagando velocemente in tutti gli USA e, probabilmente, sono il segnale di un’endemica disfunzione della ingannevole e mediocre governance statunitense. Razzismo e discriminazione sono diretti discendenti del capitalismo: è un disilluso chi crede che si possano risolvere ostinandosi a tenere in vita ciò che continuamente li alimenta.

  “I can’t breathe! – Non riesco a respirare!”- il grido di aiuto di Floyd- è l’urlo (da troppo tempo soffocato) di tutti gli oppressi e le oppresse che ogni giorno, in ogni luogo sono costretti a misurarsi con violenza, disuguaglianza, abusi di potere, impunità.

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